Note Biografiche
Arturo Puliti nasce come “pittore fiorentino” dal critico Raffaele de Grada e dalla Galleria d’arte L’Indiano di Firenze di Piero Santi e Paolo Marini. Ha studiato all’Istituto d’Arte di Pietrasanta.
Nell’immediato dopoguerra, oltre che per la pittura si distingue per l’attività grafica, cartellonistica e pubblicitaria. A Roma collabora all’Elefante, settimanale umoristico del giornale Il Tempo di Roma, un esperimento fuggevole che però lo mette in contatto con personalità che poi ricorreranno nel suo futuro come Maccari, Cagli, Mirko, Nantas Salvataggio.
Per vivere in prima persona le più vivaci correnti pittoriche soggiorna, oltre che a Roma, a Torino tra il 1948-49; dal 1949 al 1953 in vari periodi è a Zurigo e San Gallo (Svizzera). E’ in questo periodo che inizia il ciclo delle “cave”, uno degli esiti più prolifici della sua arte.
Nel 1957 si trasferisce a Milano per un anno e conosce e diviene amico di Achille Funi, B. Cassinari, R. Birolli e alcuni pittori del gruppo Bergamini. In estate, grazie al suo lavoro fa conoscenza e diviene amico di Roberto Longhi (che successivamente lo introduce al Caffè del Quarto Platano di Forte dei Marmi) e conosce Carlo Bo, De Robertis e la famiglia De Grada (il pittore, il critico d’arte e la madre, la poetessa Magda), lo scrittore E. Pea, i poeti Luzi, Parronchi, Montale, Gatto, Ungaretti, Orelli, Bertolucci e altri; i pittori Carrà, Soffici, Morandi per citarne solo alcuni, e il caro amico Oreste Macrì famoso ispanista. Dal ’59 al ’63 abita saltuariamente a Parigi prima a Montparnasse quindi a Montmatre. Dal 1965 opera a Firenze e in Versilia. L’alluvione distrusse il suo studio fiorentino di via Varlungo che condivideva con l’amico scultore Ugo Guidi ed ebbe una sovvenzione speciale dal Teatro dell’Opera di Chicago. Ha esposto a Monaco di Baviera (più volte), Lindau, Wurzburg (Germania), Zurigo, S. Gallo (Svizzera), Parigi e nelle principali città italiane.
Nel 1968 vince il premio “Nuovi valori della giovane pittura italiana” (20 pittori d’avanguardia partecipanti al premio su invito di Marco Valsecchi, Raffaele de Grada, Piero Santi, Ernesto Treccani). Nel 1970, edita dalla Galleria d’arte L’Indiano di Firenze con la quale stabilisce un rapporto privilegiato di creatività destinata a proseguire negli anni, esce una prima monografia con testi dello stesso Valsecchi e Piero Santi (in quel periodo conosce in galleria Giorgio La Pira e Piero Bargellini). Altre pubblicazioni, edite da L’Indiano negli anni successivi si distinguono per autorevolezza e impatto nel dibattito sull’arte contemporanea: tra queste da ricordare “Gli Spazi fiorentini” di Arturo Puliti con testo di Raffaele De Grada.
Ha ricoperto la cattedra di “nudo” all’Accademia di Belle Arti di Firenze conseguendo anche l’idoneità per la cattedra di “paesaggio”. Tale esperienza lo porta oltre che ad un proficuo costruttivo rapporto con gli allievi, ad una seria meditazione sulla tecnica che, secondo una icastica espressione “bisogna apprendere per poi completamente dimenticare quando si comincia a dipingere”.
Nel 1975 fa parte dei dieci pittori che il Consiglio Regionale Toscano chiama a realizzare una cartella di incisioni le cui  lastre vengono donate al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi. Nel 1976 gli è stato assegnato il Primo Premio per la Pittura della “Fondazione Lorenzo Viani” di Viareggio, premio in denaro con mostra antologica nei locali della Fondazione stessa.
E’ tra i tre ideatori del Premio Satira Politica di Forte dei Marmi: sua l’invenzione ideografica dell’ape puntuta che ne diverrà simbolo e logo e ancora oggi identifica la manifestazione e l’attività della Fondazione del Museo. Pittore appartato pur avendo vissuto a contatto con grandi maestri del Novecento, con la stima e l’appoggio di critici del calibro di Roberto Longhi, R. De Grada, M. Valsecchi, P. Santi, Bruno Corà, M. Fagiolo dell’Arco, Puliti ha continuato a perseguire la sua idea di pittura affinando un particolarissimo linguaggio segnico e una inimitabile sintassi cromatica che lo pongono fuori da qualsiasi scuola, corrente, tendenza o moda. Muore nel 2011.
Da un testo di Fabio Norcini
Critici d’arte che hanno scritto o si sono interessati, fra gli altri, all’opera di Arturo Puliti:
Marco Valsecchi, Mario Luzi, Roberto Longhi, Raffaele De Grada, Lara Vinca Masini, Mario Portalupi, Umberto Baldini, Mario Lepore, Piero Santi, Franco Miele, Pier Francesco Listri, Raffaele Monti, Vanni Bramanti, Elda Fezzi, Renzo Federigi, Tommaso Paloscia, Dario Miccacchi, Maurizio Chierici, Corrado Marsan, P.M. Bode, Luigi Baldacci, C. Popovic, Luciano Luisi, Pier carlo Santini, A.B. Del Guercio, Elio Mercuri, Emilio Paoli, Antonella Serafini, Roberto Coppini, Gianni Pozzi, Onofrio Lopez, Mario Novi, Michelangelo Masciotta, Magda de Grada, Rolando Bellini, Fabio Norcini, Giuseppe Sprovieri, G. Biazzi Vergani, Carlo Ripa di Meana, Marisa Vescovo, Eugenio Miccini, Bruno Corà, Maurizio Fagiolo Dell’Arco, Enrico Crispoldi.
Sue opere si trovano, fra le altre, nelle seguenti istituzioni:
Gabinetto Disegni e Stampe Galleria degli Uffizi, sede Regione Toscana, Museo Nazionale Santiago del Cile, costituenda Galleria d’Arte Moderna di Firenze (1957), Pinacoteca “Rodin” – Montreal – Canada, Pinacoteca Fondazione Lorenzo Viani – Viareggio, Istituto Francese Studi Superiori sede di Firenze, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Raffaele De Grada” – San Gimignano.
Note Critiche
  • L'esperienza conoscitiva da poco compiuta (almeno per un primo ampio approccio) dell'opera di Fernando Melani, l'artista pistoiese scomparso nell'85, ma che tanto ancora, credo, farà parlare di sé, mi ha indotto recentemente ad alcune riflessioni di fondo sull'atteggiamento di quegli artisti che, o per scelta individuale o per ragioni diverse e indipendenti dalla loro volontà, sono "restati in disparte" dal più vasto riconoscimento che prima o poi incorona gli "insiders" o i più assidui al dibattito, allo scontro o alla quotidiana frequentazione dei mass media.
    E quella di Arturo Puliti, appunto, sembra una vicenda così talmente vissuta solo "dentro" la pittura che deve avergli lasciato poco margine per ogni altro diversivo. Sta di fatto che il suo, se ci si attiene alle opere che la mostra romana di Sprovieri propone in lettura - quella pittura concepita ed eseguita interamente nella decade degli anni '50 - è episodio di lavoro assai puro e fortemente determinato, esteticamente pervaso da un intimo furore - è il caso di dire - escavatorio , nonché analitico, che riflette alcune delle "costanti" attorno a cui si sono espresse le lezioni più alte della pittura di questo secolo (da Cezanne a Morandi,, fino a Castellani): la "ripetizione", quale atto evocativo che considera virtualmente un unico esemplare modello su cui tornare ad esprimersi producendo l'infinita differenza del "medesimo" è forse la scoperta cezanniana più feconda di implicazioni filosofiche giacchè costringe ad un "vis-à-vis" cruciale l'infinito movimento e mutamento del mondo con la mobile coscienza dell'artista che lo osserva e ne ricrea l'armonia.
    E sia nel caso che la natura considerata dal pittore gli sia apparsa "en plein air" (Cezanne), o "morta" (Morandi) o nell'invisibile pulsazione temporale (Castellani), la luce p stata l'elemento essenziale a rivelarne l'infinita differenza di stato e qualità.
    Le "cave" versiliesi e garfagnine davanti a cui gli occhi di Puliti hanno sostato e meditato, di giorno o al crepuscolo o in piena notte, è pur vero che altro non offrono che "pretesto" al teorema, la cui formulazione è rivendicata da Longhi e dimostrata da questo artista: "L'astratto esiste in natura".
    Così la cava "Ceragiola" (1953) o quella di marmo del "Piastraio" (1955) o la "Scaglia" (1959), dipinte da Puliti con l'assiduità di un orante, invocano la "Sainte Victoire" come visione antenata e ne mostrano, nella declinazione gestuale macroscopica ed endoscopica, la più intima essenza: molecole di colore accanto a molecole di colore. Dietro quei pigmenti che non disdegnano le contaminazioni, stesi a spatolate, dati a strattoni, quasi ad inseguire e suscitare la durezza della materia che pur vogliono evocare, vi è sempre una mirabile, organica invisibile costruzione.
    Si osservi ad esempio il piccolo olio su cartone "Cava in Versilia" (1956), ove una atmosfera di rosa vagante ovunque, stemperato dal bianco, a tratti coperto dal verde o dal grigio e con al centro una campitura ocra appena squadrata, emblematizza la ripartizione volumetrica più che per piani, dell'intero spazio pittorico. Alle accennate segmentazioni di differente stesura cromatica (i tagli dei blocchi di pietra) per lo più marcanti la verticalità del piccolo dipinto, fa da contrappunto organico l'andamento connettivo di una traccia che sale leggermente inclinata a zig-zag (una carreggiata della cava?) entro tutto il tessuto della composizione pittorica.
    Ma quell'opera è vessillo attitudinale di tutte le altre relative al periodo in mostra, cioè quello compreso tra il '53 e il '59. Nel ciclo delle cave, infatti, Puliti dell'astrazione ha praticato sia la valenza di derivazione cezanniana, cioè analitica, come pure la regola neoplastica che, dopo tutto, la natura delle cave suggerisce.
    Cavità e sporgenze, depressioni e altezze che compongono il paesaggio di antitesi volumetriche e spaziali che Puliti ha metabolizzato in differenza cromatica e spazio pittorico.
    E non contraddicono quest'attitudine nemmeno gli olii su tela "Calcare e Vegetazione - Monte Forato-notturno" (1956) e "Cava di marmo al crepuscolo" (1959) o "Cava di marmo in Versilia. Vista notturna" (1959), se si considera che le tenebre, come invisibile amalgama intessuta di colore, tendono a cancellare le scansioni delle cubature e dei tagli per spandersi quasi come sinonimo dell'impasto pittorico entro tutta la superficie del quadro.
    Diurne o notturne, le visioni di quelle cave che Puliti restituisce sulla tela rivelano che, ben al di là di essere stati luoghi reali visitati dal suo sguardo, esse furono identificazioni di un habitat interiormente conformato, cioè spazio archetipico costruito e decostruito secondo l'immaginario, dunque opera del linguaggio.
    E si deve pur dire che negli anni '50 l'invenzione di questo "monotema" delle cave declinato da Puliti, accanto a quello non meno efficace di una pittura segnica praticata in modo ispirato da pochi altri, appare come il "mantra" di un credente nell'atto di celebrare il laico irrinunciabile rito quotidiano della pittura. Montagna la cui escavazione non ha fine.
    Bruno Corà,
  • Ho ragione di ritenere che in Arte si stabiliscono atmosfere, come risultato di sensibilità creative generalizzate.
    E' quanto ci consente di ascrivere ad un tempo o ad un luogo opere diversamente inclassificabili.
    Voglio essere più chiaro: si è potuto dipingere "alla raffaellesca" da chi niente aveva a che fare con Raffaello e nemmeno ne conosceva le opere; Rembrandt impronta di sé un'epoca - senza che vi siano mezzi di conoscenza in grado di portare le sue opere in paesi lontani, dove pur si dipinge a suo modo.
    Questo per dire che l'originalità di un artista moderno quale è Arturo Puliti, non è per nulla offuscata dalla possibilità di vedere nella sua opera i riflessi delle ricerche più avanzate della produzione contemporanea.
    Ci viene di fare i grandi nomi di Klee, Mondrian, Kandinskij e per certi versi anche di Picasso, ma per dire che egli regge benissimo la vicinanza di questi grandi. Non per trovare analogie, e tanto meno fissare imitazioni.
    Arturo Puliti in uno sviluppo costante della propria creazione ha potuto fare suo quanto più caratteristico è nello sviluppo dell'arte dei tempi nostri, ha assimilato tutte le ricerche di sensibilità pur rimanendo indiscutibilmente padrone del suo io dei suoi mezzi di espressione e se fosse nato in un ambiente più libero e meno ristretto di quello italiano, poco ci mancherebbe che fosse considerato un caposcuola. [1979]
    Giuseppe Sprovieri,
  • "Alba quanto fatichi a nascere!"
    Note per Mario Luzi e Arturo Puliti.
    Un incontro nel nome di Simone.
    di Rolando Bellini.
    Son reduce d'un lungo ascolto, consumato appena ieri, al fianco di Paolo Marini e Arturo Puliti, di tanti altri amici di Luzi, in una sala della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Ascoltavamo Mario Luzi. Li, infatti, il poeta ci aveva dato appuntamento e recitava sue strofe, leggeva sue prose e noi, silenti, estatici, l'abbiamo ascoltato commossi fino al tramonto.
    Idealmente era seduto accanto a me anche Piero Santi. Frattanto Mario Luzi ci parlava del suo legame con la vita e della sua attesa di poeta, del commiato da essa. E ci delucidava circa i moti dell'animo suo, dell'intimo legame tra poesia e vita. La poesia, dice il poeta, "tutta la poesia è creatura, non creazione, è cioè oggetto di creazione..."
    Silentium.
    Vedo la mano del pittore, seduto alla mia sinistra (dico di Arturo), contrarsi accennare nell'aria una curva, una figura poetica. La sua creatura: entrambi dunque, Arturo e Mario, si commuovono per la stessa attesa; hanno fantasticato l'impensabile ritorno in patria di Simone, stanco di Avignone, desideroso di ricovero ultimo nella sua dolce Siena, attraverso i propri personali ritorni, da Parigi a Firenze, per Puliti, da ogni luogo dove il poeta si è nutrito d'incanti ancora per Firenze, per Luzi.
    Vanno marciando idealmente da Genova, con Simone, verso Firenze, quella città che il Simone Martini luziano rifiuta di visitare - macchina di tortura pronta a lacerare ogni carne, qual è rappresentata da Puliti, oggi, qual è recitata dai versi di Luzi, ieri - andando incontro, nell'invenzione narrativa, alla sua terra, la sua Siena, che: "mi guarda" (scrive Luzi), tradotta nei geometrismi odierni di Puliti.
    Cosicché finzione letteraria e pittorica, l'incontro tra i due odierni artisti si fa realtà attraverso l'immaginario ultimo periplo dell'antico maestro, un Simone Martini sospeso nella sua aura, nella luce del mattino che emana dalla sua pittura. Per entrambi, credo valga la confessione del personale esistere quotidiano, tutto poetico, di Mario Luzi quando sembra dire: sto "vivendo il presente come ostaggio del passato".
    E nel contempo sentono, tutti e due, il ruvido fervore ch'è sete di vita trascorrente e di passione che alimenta Paolo Marini e si scontrano, entrambi, con il mito e con la realtà che questi loro compagni di strada vanno offrendo, così come urtano il mio sguardo distratto e incoerente come dev'essere lo sguardo dello storico dell'arte che presume di saper recitare il credo di Paul Valery senza cadere nelle miserie della cronaca, e fanno bruciare i miei occhi, abbagliandoli con la loro alba.
    Eppure anch'essi, anche il pittore Arturo Puliti, anche il poeta Mario Luzi, sembrano recitare sommessamente, ognuno a suo modo, i magnifici versi di quest'ultimo: "Alba, quanto fatichi a nascere!".
    Rolando Bellini,
  • Le chiare, lievi, assorte geometrie che Arturo Puliti dispone nei suoi spazi nitidi, e variano o ritornano da quadro a quadro spostate come le luci e le ombre di una meridiana. E' un ritmo, è una partitura che ci sono diventati familiari, tanto più che toccano una rispondenza assai più che visuale.
    Ma a ogni nuova esposizione il discretissimo rigoroso amico rinverdisce il primo stupore di quel linguaggio tutto in chiaro, illuminato da una sorta di fieresca sublimità mentale: eppure sospeso su un secolare misterioso retropensiero dove rivive tutto il giro e l'alternanza delle epifanie e delle disperazioni.
    Mario Luzi,
  • Forte dei Marmi è da cinquant'anni un centro di artisti. Artisti che hanno avuto ed hanno un nome chiaro, talvolta europeo. Accanto a questi artisti sono cresciuti in loco anche buoni pittori e scultori come Ugo Guidi e Arturo Puliti, per fare il nome dei due fortemarmini che si prestano con una personalità più sicura e che hanno superato da tempo ogni limite di scuola.
    I contatti di Puliti con Firenze e con il gruppo che si ritrova intorno alla galleria de L'Indiano sono oggi tale per cui Puliti è ormai da considerare un vero e proprio artista fiorentino. Il suo non è più il lavoro isolato di un artista che vive in provincia, è una produzione intrinseca delle ricerche di questo gruppo fiorentino che cresce ogni anno, diffondendosi ben oltre i limiti della città di Firenze.
    L'arte di Puliti può essere inquadrata in quella vasta corrente dell'astrattismo europeo, che si tramanda ormai da tre generazioni. Un astrattismo lucido di una logica impeccabile, ma non geometrizzante.
    Secondo le regole che provengono dal lontano De Stijl. In Puliti c'è sempre stata, per quel che ricordo, una certa fantasia, che è tipica dell'ala "orientale" dell'astratto, a partire dal grande Kandinskji. E tanto poco infatti Puliti è ingombrato dai canoni tradizionali dell'astrattismo che si prende talvolta la libertà di mettere a nudo la sua ispirazione dal reale, ma non rendendosene schiavo.
    Dobbiamo dunque considerare questa mostra di Puliti, dedicata ad un aspetto ben preciso del reale, com'è quello della sua amata Firenze, quale un volger di spalle alle sue convinzioni astrattiste? Proprio no. Non siamo di fronte ad una palinodia, ma soltanto alla risposta a un suggerimento poetico nei termini di un linguaggio lungamente elaborato, che viene a Puliti dagli orizzonti e dalle architetture fiorentine e specialmente dalla Cupola del Brunelleschi, simbolo architettonico dello spazio fiorentino.
    Gli spazi di Firenze, ecco il tema della mostra di Puliti. Nessuna imitazione paesistica, direi neppure un vero e proprio paesaggio. Sembra che Puliti voglia insegnare a guardare Firenze in modo nuovo, voglia suggerire alla nostra fantasia il volo sui tetti, sulle colline, oltre il limite di una impareggiabile purezza architettonica.
    Il quadro di Puliti sembra incentrato in un incrocio di spazi: un piano, al altro piano coordinato, un altro ancora che era imprevisto e la lettura del dipinto supera ogni richiamo preciso per assurgere allo spirito di tal visione paesistica, come si trattasse di un puro esercizio, ma ti accorgi che intanto egli ti ha restituito il paesaggio di Firenze, visto con occhi nuovissimi.
    E' difficile dipingere in modo nuovo un paesaggio poco conosciuto, difficilissimo dipingere con freschezza un paesaggio notissimo com'è quello di Firenze.
    Nei giorni scorsi, durante il convegno su Ottone Rosai, abbiamo misurato quanto Rosai si sia immedesimato con Firenze. Si potrebbe persino credere che, dopo Rosai, era difficile, impossibile dipingere ancora Firenze.
    Puliti ci dimostra che basta invece non farsi prendere dalle formule (che tali diventano le imitazioni dei grandi "modelli") per essere nuovi, per dare emozioni diverse e per creare qualcosa di originale.
    L'originalità di questi quadri di Puliti sta nel conferire una rinnovata purezza alla visione già sicura e drammatica di una certa scuola rosaiana. E' la stessa freschezza che si avverte quando da un luogo chiuso, dalla ripetizione meccanica del dramma, che può diventare addirittura cadaverica, si giunga in un giardino di mattina, con le piante che respirano felicità. Non è poco.
    In tanta pittura di angoscia, in tanta ossessione da manicomio, un pittore che ritrova i mezzi lucidi del discorso puro, quale fu quello del primo Rinascimento, fa piacere averlo incontrato, avere un poco respirato con lui.
    Raffaele De Grada,
  • Ho visto per la prima volta quadri di Puliti a una mostra collettiva di Marina di Massa, un paio di anni fa. Mi interessò subito l'idea che ha della pittura: come creazione di forme e autonomia dell'immagine: e il modo con cui la realizza: nitida nel disegno e con un colore che a dire sobrio non deve indurre a pensare povero, e invece intessuto di profonde e persino raffinate tonalità.
    Puliti ha interesse a mettere in evidenza l'infinita variazione delle forme geometriche, non solo con la creazione di spazialità modulate, ma pure con l'uso di colori alternati su timbri netti e contrapposizioni rapidissime di valori cromatici. Ma evita il grido furente, l'urto violento. Il colore è giocato di preferenza nella gamma delle tinte fredde e mentali (i grigi, i viola, il bianco, il bruciato), con l'esclusione delle tinte passionali (il giallo, il rosso, l'arancione). Anche in questo senso emerge la sua sobrietà, che gli permette di raggiungere lo scandirsi e il ritmarsi dell'immagine con maggiore intensità di concentrazione intellettuale.
    Non si dovrà, certo spiegare ai toscani che l'astrazione di questo tipo ha pieno diritto di locazione nell'arte. Basta rivolgere l'occhio alle geometrie architetturali presenti ovunque in Toscana e a Firenze riscontrabili in ogni passo: il San Giovanni, Santa Maria Novella, il campanile di Giotto, la fiancata di Santa Maria del Fiore, non riconducibili a mera funzione decorativa e piuttosto esemplificazione di un'ideale armonia che nelle forme geometriche riflette l'ordine e l'icasticità del pensiero.
    Se poi attraverso queste immagini, idonee a prospettare un'idea di immodificabile certezza intellettuale di fronte all'agitato franare della cronaca quotidiana, Puliti si trova in consonanza con certa astrazione europea, da Magnelli ad Arp, da Richter a Elion, a Sonia Delaunay, e risale fino a Van Doesburg e a Malevitich, il nostro artista non ha avuto necessità di assumere a linguaggio l'esperanto internazionalista, ma il chiaro e rigoroso esempio dei grandi toscani del Quattrocento.
    Marco Valsecchi,
  • Conoscevo il Puliti dell'estate versiliese 1952, conobbi quello di pochi anni fa, conosco il Puliti 1970.
    Ho potuto seguire, non solo la sua pittura, ma la sua ansia di uomo-oggi, il distacco sempre più acuto dall'ambiente dov'è nato, le sue gite a Parigi, certe lunghe soste a Firenze.
    I suoi paesaggi degli inizi testimoniavano già della sua vocazione; ma il pittore avverte presto che è futile cercar di comprendere le cose secondo dati naturalistici; è chiaro che gli urge dentro la necessità di afferrare la sostanza-mistero degli oggetti.
    (Quella passione, tutta fiorentina, di ridurre la parvenza all'essenza, la sovrastruttura alla struttura. Che è costata molto ai pittori moderni toscani, probabilmente perché il primo cinquantennio del secolo coltivava altre eventualità, speranze ben diverse, un bisogno a volte furioso di afferrare i motivi nei loro rigurgiti esistenziali. Rosai riuscì a compiere quella operazione in modo, in fondo, ancora attuale, come riuscì Campigli, come riuscì Magnelli; ma dopo di loro abbiamo assistito ad una involuzione acida. Troppo paghi delle loro fedi, certi pittori: seri-seriosi, smunti, privi del dubbio che insidia, fertile, l'uomo vivo. Seguivano l'idea di una Firenze media, non dell'unica che ha gettato il messaggio della rivoluzione: quella folle e razionalissima del Quattrocento, che insegnò anche a andare contro di lei, come tutti i maestri veri).
    Arturo Puliti non inserisce la sua idea in ritmi astratti. La sua pittura è struttura secondi riferimenti precisi (anche se non riferibili a forme da noi conosciute); la sua semplificazione è apparente perché, più agisce verso l'essenza più arricchisce le proprie resultanze.
    Preferirei dire, allora, purificazione: la quale non esclude la complessità contraddittoria e ambigua del reale. Sotto quella trama nitida dei colori e delle spartizioni del quadro, al di là di quelle linee sinuose o rette, c'è l'apprendimento fondo delle "cose".
    Quella di Puliti è la lingua necessaria, l'espressione estrema per poter pronunciare le parole definitive. Nessun allettamento in questi specchi tersi: questa è pittura veramente "oltre l'informale", dove i grumi stessi dell'uomo-vipera o dell'uomo-angelo in breve, dell'uomo (che ha in sé l'una e l'altro) si sciolgono in una chiarezza che potrebbe sfiorare il crudele.
    Quella purezza, lo splendore levigato - expolitum, con Catullo - di questi quadri, accoglie, non rifiuta davvero, la dialettica interna e la paura che l'uomo ha di se stesso, del proprio segreto, dei propri moventi, di certi atti grigi - angustia di noi vivi.
    L'invenzione di queste forme che si accavallano, si intersecano e raggiungono alla fine il punto di luce-rivelazione, scaturisce da un umore chiuso, scattante verso un giudizio assiduo e caldo; non certo da una ricerca di ritmi esterni.
    Questa allora, è avanguardia vera (se vogliamo parlarne)? Scavare nei maledetti contenuti per trarne fuori la loro misera e la loro ricchezza; lasciarsi bruciare dal loro fuoco - ingannevole? amico? poi bruciarli in forme nuove che siano le loro forme indispensabili, giudicandoli nella loro bassezza e nel loro splendore alla fiammella della nostra povera-sublime crisi millenovecentosettanta.
    Fuori di questo, ormai, che senso ha la pittura? (o la poesia? o il romanzo?). Più di sempre, è probabile, siamo immersi nella storia: dannati, non possiamo scampare.
    Confessiamolo: potremmo fare a meno dell'arte: i più almeno. Ma se siamo così caparbi da non volere esser soli con noi stessi, e con la scienza con la luna con la tecnologia, se sentiamo ancora, malgrado tutto, un po' di vuoto (ma abbasso l'arte come conforto).
    Ecco: senza dubbio quel vuoto non lo colma certo la arte-mortesecca: è finita la pittura-pittura, è morto il romanzotrama-caratteri-romanzo-romanzo: l'arte che può ancora essere un fatto contemporaneo, che può avere una sua ragione (e non quella, sentimentale, di farci evadere dal reale), non può - Monsieur de La Palisse - che essere un fatto nuovo.
    Ma quale novità? E chi può rispondere in termini generali? Ogni pittore, ogni scrittore, ogni musicista darà, se potrà, la sua risposta. (Sapendo che è necessaria una rivoluzione contro ogni apprendimento anche recentissimo; e il sospetto continuo di rimanere, non arretrati, non è questo il punto, ma soffocarli dalle nostre stesse invenzioni).
    Puliti, questa risposta cerca di darla. Partito dall'ardore di rivelare uno dei bisogni più naturali, e antichi, noiosi ardenti, splendenti dell'uomo: l'eros, non ha scelto vie antiche, non passionalità, non drammi, non chiarezze-ambiguità psicoanalitiche: è stato appena allusivo. Ha cercato di darci una sorta di ideogrammi erotici dove eros si incupisce proprio quanto si razionalizza (e alla fine, come deve essere, piomba ancora nel suo mistero).
    La sua risposta è chiara, è onesta, è anche sottile, e perfino inquietante.
    Piero Santi,
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Per trattamento dei dati personali si intende la loro raccolta, registrazione, organizzazione, conservazione, elaborazione, modificazione, selezione, estrazione, raffronto, utilizzo, interconnessione, blocco, comunicazione, diffusione, cancellazione e distruzione ovvero la combinazione di due o più di tali operazioni.
Tali dati verranno trattati da Arturo Puliti con la finalità di dare esecuzione al servizio da Lei richiesto o ad una o più operazioni richieste.
La informiamo altresì che il trattamento si svolgerà, anche con l’ausilio di strumenti automatizzati atti a memorizzare, gestire e trasmettere i dati stessi, nel rispetto delle modalità che l’Art. 11 del D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 pone a Sua garanzia, tutelando i Suoi diritti, libertà fondamentali e dignità, con particolare riferimento alla riservatezza e all’identità personale.
I dati personali da Lei forniti possono essere portati a conoscenza degli incaricati del trattamento e possono essere comunicati per le suddette finalità a collaboratori esterni e, in genere, a tutti quei soggetti cui la comunicazione si renda necessaria per il corretto adempimento del servizio da Lei richiesto. Ci impegniamo a non diffondere alcuna informazione relativa ai singoli utenti per fini commerciali.
Il conferimento dei dati personali di cui alla presente è strettamente necessario ai fini della fornitura del servizio da Lei richiesto, per cui l’eventuale mancato consenso porterà all’impossibilità di erogazione del servizio stesso.
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I dati personali potranno essere trasferiti verso Paesi dell’Unione Europea e verso Paesi terzi rispetto all’Unione Europea nell’ambito dell’esecuzione del servizio da Lei richiesto.
La informiamo inoltre che in relazione ai predetti trattamenti, Lei potrà esercitare i diritti di cui Art. 7 (Diritto di accesso ai dati personali ed altri diritti) del D. Lgs. 30 Giugno 2003 n.196 (articolo il cui testo è di seguito riportato).
Ulteriori informazioni in ordine al trattamento ed alla comunicazione di suoi dati personali potranno essere richieste a Arturo Puliti all’indirizzo info@arturopuliti.it

Art. 7 D. Lgs. 196/2003 del 30 giugno 2003 – Diritto di accesso ai dati personali ed altri diritti.

I – L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.

II – L’interessato ha diritto di ottenere l’indicazione:

a) dell’origine dei dati personali;

b) delle finalità e modalità del trattamento;

c) della logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;

d) degli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2;

e) dei soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.

III – L’interessato ha diritto di ottenere:

a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;

b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;

c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.

IV – L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:

a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;

b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.

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